sabato 4 ottobre 2025

Il ragazzo dai pantaloni rosa

Un racconto sulla fragilità e il coraggio



Teresa è una madre come tante. Due figli, una casa da mandare avanti, mille pensieri quotidiani. 

Andrea, il suo primogenito, ha 14 anni: solare, intelligente, ama cantare. Frequenta il liceo con entusiasmo.

Finché un giorno del 2012 tutto cambia.

Torna a casa con la pagella: tutte insufficienze. Teresa lo guarda sorpresa, cerca di capire. Andrea abbassa lo sguardo: “La ragazza che mi piace mi ha respinto.” Lei lo abbraccia forte, pensando che il tempo guarirà quella ferita adolescenziale.

Il 14 novembre Andrea compie 15 anni. È triste, chiuso in se stesso. Teresa organizza una piccola festa in famiglia per farlo sorridere. Lui la abbraccia, la stringe forte: “Grazie, mamma.”

Sembrava un abbraccio come tanti.

Pochi giorni dopo, Teresa è in Calabria dalla madre quando squilla il telefono. È il suo ex marito. Dall’altra parte, solo urla. Poi silenzio. Richiama con il cuore in gola. Lui balbetta, piange: “Non so come dirtelo… Andrea si è impiccato.”

Il tempo si ferma…

Teresa corre, ma è troppo tardi. Si ritrova in un obitorio freddo, davanti al corpo di suo figlio. Lo accarezza per l’ultima volta. Il gelo della sua pelle le rimane impresso nelle mani, per sempre.

Poi arrivano i giornali: “Il ragazzo dai pantaloni rosa.” Teresa non capisce. Scopre la verità lentamente, come una lama che scava.

Un errore in lavatrice aveva trasformato i pantaloni bianchi di Andrea in rosa. Lui, con il coraggio di chi non ha paura di essere sé stesso, aveva deciso di indossarli comunque. Da lì era iniziato l’inferno: derisioni, battute crudeli, una pagina social creata solo per ridicolizzarlo. Video, commenti, risate. E dietro, un ragazzo che non trovava più la forza di sorridere.

Teresa non sapeva nulla. Non aveva colto i segnali.

La procura archivia: “Non ci sono prove di bullismo.” Ma Teresa sa che il male più grande non lascia sempre segni visibili.

Oggi quella madre ha trovato un modo per dare senso al dolore. Va nelle scuole e dice: “Non sottovalutate mai la tristezza dei vostri figli. Ascoltateli, abbracciateli. Non aspettate che sia troppo tardi.”

Un’ora che può cambiare tutto

Insegno in un CFP. Qualche tempo fa ho chiesto a uno studente di spiegare a voce alta la lezione. Lui mi ha guardato con occhi pieni di paura: “Può farlo fare a un altro?”

Avrei potuto dire di sì. Sarebbe stato più facile. Ma ho chiesto perché. Con voce quasi impercettibile mi ha confidato che i compagni coglievano ogni occasione per prenderlo in giro.

Ho capito che quel momento non riguardava la lezione. Riguardava lui.

Mi sono rivolto alla classe: “Presterete attenzione al vostro compagno. Ogni mancanza di rispetto verso di lui la considererò una mancanza di rispetto verso di me.” Il silenzio che è seguito era diverso dal solito. Era rispetto.

Lo studente ha parlato. La voce tremava all’inizio, ma è andata avanti. Ha completato il suo compito. Nessuno ha riso.

Dopo la lezione è venuto da me. Mi ha ringraziato e ha iniziato a confidarmi pensieri che teneva nascosti, quelli che pesavano.

In quel momento ho pensato ad Andrea. Mi sono chiesto: se qualcuno nella sua scuola avesse fatto quello che ho fatto io, Andrea sarebbe ancora qui?

La responsabilità di vedere

Il bullismo non lascia sempre lividi visibili. Ma spezza qualcosa di più profondo: la fiducia in sé stessi, la voglia di alzarsi la mattina, la speranza che domani possa essere diverso.

Andrea non ha avuto un adulto che si schierasse dalla sua parte. Ha tenuto tutto dentro, ha sorriso a sua madre, l’ha abbracciata forte. E poi, quando il peso è diventato insopportabile, ha scelto il silenzio definitivo.

Noi insegnanti non siamo psicologi, ma possiamo fare molto più di quanto crediamo. Possiamo vedere i segnali: lo studente che si isola, che non vuole più parlare, che ha smesso di essere sé stesso. Possiamo intervenire: non basta dire che il bullismo è sbagliato, bisogna agire, schierarsi, proteggere. Possiamo legittimare la diversità: dire ai ragazzi che va bene essere sensibili, creativi, unici.

Teresa oggi racconta la storia di Andrea nelle scuole. Chiede a noi genitori e insegnanti di non sottovalutare mai la tristezza dei ragazzi. Di ascoltare, di esserci.

Io ho intercettato in tempo il dolore di quel mio studente. Gli ho dato un’ora di protezione, un’ora di dignità.

Un’ora può sembrare poco. Ma per un ragazzo che soffre, un’ora in cui qualcuno gli dice “tu vali, e io sono qui per te” può fare la differenza tra la vita e la morte.

Andrea non c’è più. Ma la sua storia ci ricorda ogni giorno che abbiamo una responsabilità: vedere, agire, proteggere.

Perché ogni ragazzo che entra in classe porta con sé un mondo. E quel mondo merita di essere custodito, rispettato, difeso.

Anche quando indossa pantaloni rosa.

Dedicato ad Andrea Spezzacatena e a tutti i ragazzi che soffrono in silenzio.  E agli adulti che hanno il coraggio di schierarsi dalla loro parte.