venerdì 10 marzo 2023

Storie di preadolescenti, cellulari e social media

Quando i nostri ragazzi e ragazze sbagliano e diventano i figli di tutti...

Succede che in paese venga organizzato un incontro con Digital Sherpa sulla Web Reputation. “Pensa… poi posta” è il titolo che si legge sull’invito rivolto a tutta la cittadinanza. E’ venerdì sera alle 18 (febbraio 2023) e il pubblico è molto eterogeneo. Alcuni ragazzi e ragazze in prima fila che frequentano le scuole medie, alcuni adolescenti che frequentano le scuole superiori, diversi adulti tra i quali professionisti, pensionati e tanti genitori interessati all’argomento.

I ragazzi in prima fila ascoltano con attenzione all’inizio ma poi si distraggono un po’: è sera e hanno già affrontato una giornata piena tra scuola e sport e in più li aspetta, dopo questo incontro, una cena tra amici e un altro appuntamento in oratorio. Si parla di Web Reputation nel loro mondo di nativi digitali che spesso non riescono a distinguere la realtà dei social media dalla realtà vera. 

Ma si parla anche di Web Reputation nel mondo degli adulti, nel mondo del lavoro e per quanto concerne i grandi brand che utilizzano web e social per comunicare e fare marketing. E questa parte forse li annoia un po’ e li porta ad allontanarsi per un attimo dall’argomento e pensare ad altro. Si torna poi a parlare della responsabilità nell’utilizzo dei social, di come anche un like sotto un commento offensivo possa avere implicazioni giuridiche e legali. 

Si parla di quanto sia importante pensare con attenzione ai contenuti che si postano sui social, dandoli letteralmente in pasto al mondo, per evitare di dare un’immagine di sé e degli altri fuorviante, negativa o semplicemente diversa da come si è nella realtà di tutti i giorni.

Tanti interventi dei presenti e tante domande a Digital Sherpa per concludere questo interessante incontro che lascia a tutti tanta voglia di approfondire e il pensiero fisso che dovremmo parlarne di più ai nostri giovani, a partire dalle scuole medie, anche all’interno delle classi che frequentano tutti i giorni. 

Molti di loro hanno in mano tutti i giorni strumenti potentissimi come cellulari e tablet, armi che abbiamo messo noi nelle loro mani, e sarebbe nostro dovere insegnare loro come usarli consapevolmente, spiegando loro i rischi ai quali potrebbero esporre se stessi e i propri amici.

Succede poi, pochi minuti dopo aver concluso questo incontro, che uno dei ragazzi si ritrovi in mezzo a tantissimi amici dopo aver cenato insieme. Sono in una grandissima sala piena di chiacchiere e rumori.

 Ci sono anche tanti adulti e ragazzi più grandi e a breve inizierà l’incontro programmato che porterà il silenzio e che spazzerà via i cellulari che invece, in questa fase post cena, sono accesi tra le mani di molti di loro.

Succede che questo ragazzo filmi con il suo cellulare i suoi amici: una carrellata di volti felici e sorridenti e domande divertenti tipo “Mi racconti la tua daily routine?”. Gli intervistati rispondono, scherzano, ridono.

Succede che due di questi ragazzi dicano delle cose inappropriate per il contesto. Nulla rivolto ad altri coetanei, nessuna provocazione o atto che ricordi lontanamente il bullismo. Frasi che probabilmente abbiamo detto anche noi alla loro età, con la differenza che negli anni 90 non c’era nessuno che potesse immortalare il momento su un cellulare. 

Succede che questo ragazzo, con ingenuità e senza aver percepito il pericolo, condivida questo filmato sul suo stato WhatsApp con l’obiettivo di far vedere quanto siano divertenti i suoi amici e questi momenti insieme. Fine della serata. 

Breve flash back: “I contenuti postati sul web attraverso i social, gruppi WhatsApp compresi, sono e rimarranno indelebili!” ci aveva detto poco prima Digital Sherpa. Una foto o un filmato divulgato attraverso un social media rimarrà per sempre in circolo, visualizzato, ripostato, condiviso e salvato su altri dispositivi senza possibilità di eliminarlo o bloccarlo. Succede che imparerò il giorno dopo che invece un contenuto condiviso attraverso il proprio stato di WhatsApp non possa essere ripostato, salvato o ricondiviso ma possa essere solo visualizzato; imparerò che in questo singolo caso tale contenuto possa essere quindi eliminato dal proprio stato senza che ne rimanga traccia.

Succede che la mattina dopo una mamma chiami un'altra mamma per avvisarla che suo figlio ha messo sul suo stato WhatsApp questo filmato dove si possono sentire queste due frasi sbagliate pronunciate da due amici. 30 visualizzazioni, solo 30. Cancellare subito dallo stato. Fatto! Paura, disagio, panico. Il ragazzo capisce subito che ha sbagliato, che ha messo in cattiva luce se stesso e i suoi amici. Preso dall’ansia mentre piange e subisce la ramanzina dei genitori, arrabbiati ma consapevoli che nessuno si è fatto male e che la situazione può essere gestita e tenuta sotto controllo, elimina il filmato anche dal suo cellulare. 

Da quel momento nessuno potrà più rivederlo. 30 visualizzazioni che forse sono diventate 32 dopo che i due genitori lo hanno guardato alla ricerca spasmodica di quei due singoli momenti in cui quel filmato si trasforma in qualcosa che non voleva essere, in qualcosa che nessuno voleva diventasse.

Succede che le due mamme si interroghino se sia o meno il caso di avvisare i genitori dei due ragazzi che pronunciano queste due frasi infelici. Succede che convengano che non è il caso e che si troverà il modo di responsabilizzare il ragazzo che ha girato e messo sul proprio stato il video e, attraverso di lui, i due amici che in un momento di relax e divertimento si lasciano sfuggire qualche parola di troppo.

E’ una piccola bolla in cui la leggerezza commessa da questi ragazzi è lì che si muove tra la consapevolezza che “in fondo non è mica morto nessuno” e il “non bisogna sottovalutare questi episodi perché domani potrebbe succedere qualcosa di più grave”.

Succede che questa piccola bolla diventi in poco tempo una bolla più grossa dove la leggerezza diventa errore, dove la comprensione dell’accaduto diventa giudizio. E succede così che il danno che non ha fatto il filmato, visualizzato da poche persone, lo facciano le parole e i racconti di quei pochissimi tra i pochi che il filmato lo hanno visto con attenzione. 

Le frasi sbagliate vengono ripetute, i ragazzi individuati e nominati dagli adulti e, di conseguenza, anche dagli altri ragazzi. Pochi giorni di chiacchiere e analisi maldestre dell’accaduto e la bolla si sgonfierà; tutto tornerà alla normalità e succederanno altre cose belle che spazzeranno via il pensiero di quel filmato e di quella leggerezza commessa dai nostri ragazzi in un momento di svago.

Succede però che ci si domandi cosa abbiamo imparato da questo episodio noi adulti e cosa hanno imparato o impareranno i nostri ragazzi. Succede che abbiamo imparato che bisogna parlarne di questi episodi perché la leggerezza commessa da uno possa evitare che l’altro la commetta pochi giorni dopo; che bisogna parlarne nel modo giusto, senza additare nessuno e senza giudizio, senza creare un tam tam di voci che ingigantisca e peggiori le cose; che bisogna informare sin dalle scuole medie i nostri preadolescenti che utilizzano un cellulare ad usarlo consapevolmente e che dovrebbe esserci un Digital Sherpa in ogni scuola a fare formazione sull’argomento.

E poi mi sono fermata a pensare a quella vocina che fluttuava tra il “in fondo non è mica morto nessuno” e il “non bisogna sottovalutare questi episodi perché domani potrebbe succedere qualcosa di più grave”. Ho ipotizzato un contesto diverso, magari quello di una palestra dove un ragazzo filma i compagni che esultano dopo una vittoria. Senza rendersene conto il ragazzo filma un compagno di squadra che non si è accorto di cosa sta succedendo intorno a lui e si sta cambiando, magari dando le spalle ai compagni. 

Nel filmato si vede questo compagno che mostra una parte del suo corpo nuda che non mostrerebbe mai di proposito durante un video. Questo filmato viene postato sul gruppo WhatsApp della squadra e subito ripostato su altri gruppi.

Qualcuno trova divertente il dettaglio della nudità dell’inconsapevole ragazzo e lo posta su un social e poi su un altro. Il video è diventato indelebile e virale: in pochi click raggiunge un’intera scuola, un paese, una comunità. Il ragazzo è sulla bocca di tutti e le settimane successive saranno difficili per lui e avrà bisogno del sostegno di tutti, adulti e ragazzi, per uscire da questa situazione di imbarazzo e sovraesposizione. 

Ma forse avrà bisogno di aiuto anche il ragazzo che il video lo ha girato e poi inconsapevolmente condiviso, dando il via a questa catena che lo ha reso virale. E’ lui il colpevole del disagio e della sofferenza del compagno di squadra; è lui che deve chiedere scusa per l’errore commesso, prima ancora di tutti coloro che ridono guardando il video e contribuiscono alla sua ulteriore diffusione. Ed è qui che la mia riflessione ultima prende corpo.

Quando i nostri ragazzi e ragazze fanno qualcosa di bello che ci rende orgogliosi di loro, quando aiutano una persona in difficoltà, quando si impegnano a scuola o nel loro sport, quando ci aiutano nelle difficoltà di tutti i giorni o ci dimostrano di aver imparato qualcosa di nuovo e utile per il loro futuro… in quei momenti sono i NOSTRI figli o figlie.

Quando sbagliano, quando fanno qualcosa che non avrebbero dovuto fare, quando mettono in pericolo o in cattiva luce se stessi o i loro amici, quando agiscono con leggerezza senza pensare alle conseguenze… in quei momenti sono i figli o le figlie DI TUTTI.

Noi adulti abbiamo il compito delicato di fare rete unita intorno a loro in questi momenti, supportandoli e aiutandoli a superare un momento difficile, attutendo dove è possibile le conseguenze, consentendo loro di imparare dagli sbagli per evitare in futuro di commetterne di simili. Ne commetteranno altri di diversa natura dai quali impareranno altre cose ancora. E così via.

I nostri ragazzi e ragazze vanno supportati e compresi soprattutto nel momento in cui commettono un errore perché è proprio in quei momenti che diventano i figli di tutti noi. Se noi adulti per primi comprenderemo questo meccanismo sarà allora che potremo definirci davvero una comunità, che sia scolastica, sportiva o geografica.

Una comunità protegge i propri figli e li aiuta a reagire alle difficoltà e ad affrontare le conseguenze di un errore con la testa alta di chi ammette i propri sbagli e sa anche chiedere scusa.

Preadolescenti, cellulari e social media. Abbiamo una lunga, lunghissima, strada davanti da percorrere insieme.

Laura Zocchi (autrice  dell'articolo)