domenica 6 dicembre 2020

 Lunga vita al pc – Massimiliano de Cinque




E – Il mensile di Emergency

“Un giorno mia figlia, otto anni, era al computer a casa nostra con una compagna di scuola. Si divertivano con uno di quei cd di gioco e apprendimento. Così dissi: «La prossima volta che Alice viene a casa tua lo porta, così potete giocare». 

Lei mi rispose: «Noi non abbiamo un computer a casa». Non tutti possono permettersi un pc. 

Un po’ come succedeva trent’anni fa con la tv. Io me ne ricordo perché anche noi a Ortona a Mare, dove sono nato, tiravamo avanti a fatica: io e mio fratello abbiamo cominciato a lavorare a dodici anni.

Così ho riesumato un mio vecchio pc, rispolverato quel che avevo imparato all’istituto tecnico e nella taverna di casa, tra fili, schede elettroniche, cavi e viti, l’ho fatto funzionare. E poi l’ho regalato all’amica di mia figlia. Era felice e i genitori grati. E questo che mi ha fatto scattare la molla.

Da solo, sempre nella taverna, dopo l’orario di lavoro ho iniziato a raccogliere pc dismessi, cambiare i pezzi rotti con altri usati, ma funzionanti, per regalarli a chi ne ha bisogno: anziani vicini di casa e bambini delle scuole nei dintorni. Solo dopo ho scoperto che così contribuivo, seppur in piccolo, anche a salvaguardare l’ecosistema.

Io non sapevo che ogni anno nel mondo si producono 50 milioni di tonnellate di rifiuti Raee (Rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche) che non si sa come smaltire. O meglio, si portano in discarica. Qualche azienda li ricicla come prevede la legge, ma siccome costa troppo finisce che la maggior parte di questi rifiuti viene spedita in Africa oppure in India, in Vietnam o in Cina. Lì vengono bruciati e i fumi sono tossici. Insomma, un disastro.

Parlandone in casa, al lavoro, con gli amici e alla scuola di mia figlia, ho pensato di passare a una seconda fase del progetto: cercare di fare rete, sensibilizzare più gente possibile incluse istituzioni, scuole e media locali. Ho avuto molti incoraggiamenti, ma per un bel po’ siamo rimasti in due. La stampa invece ci ha dato davvero una mano, tanto che le richieste di riciclo ci sono arrivate proprio in seguito ad articoli e trasmissioni. E così, per esempio, che siamo riusciti a dare un computer a Livio, un signore di ottant’ anni di Bologna, che non aveva più la sua macchina da scrivere: «Non ci credevo mica, sa, che fosse tutto vero», mi ha detto. Siamo riusciti a consegnare anche alcuni computer alla scuola di Olgiate, dove vivo ormai da molti anni. In quell’ occasione c’era anche un assessore, poi non lo abbiamo più sentito.

Ora nel progetto siamo in sette, tutti più bravi di me in elettronica: gli altri sono ingegneri per davvero. Insieme abbiamo costituito l’associazione di volontariato Nuova Vita. Il progetto ha preso quota, addirittura dall’Inghilterra ci hanno chiesto se possono mandare a noi un mucchio di computer che devono smaltire. Quando ci troviamo tutti insieme nella taverna di casa mia a rimettere insieme i pezzi di un computer siamo contenti e ci divertiamo, ma siamo anche un po’ preoccupati di non riuscire a fare fronte a tutto. In più, là sotto casa non ci sta più neanche uno stuzzicadenti e mia moglie vorrebbe tornarci a stirare. Un’azienda, la Cassano Magnago Servizi, ci ha offerto, in comodato d’uso per due anni, un suo capannone per lo stoccaggio del materiale da riciclare, ma il lavoro continueremmo a farlo in taverna. Ci servirebbe invece uno spazio-laboratorio per lavorare tutti insieme e rispondere meglio alle richieste che arrivano. E poi nei nostri sogni questo luogo potrebbe diventare un punto d’incontro e di apprendistato per ragazzi in cerca di una formazione pre-lavoro, invece di lasciarli per strada.”


Articolo integralmente tratto dalla rivista “E-Il mensile” (Già Peacereporter), n° 6 di giugno 2011), a pagina 9.